Quando “no-vax” diventò un insulto
Per chi comunica l’innovazione – qualsiasi innovazione – questa è una delle storie più istruttive degli ultimi anni. È la storia di come in Italia, nel giro di pochi mesi, i nemici dei vaccini persero l’aura di superiorità morale che li circondava. E non per merito della comunicazione di prove inconfutabili sulla sicurezza dei vaccini, perché quelle c’erano da anni ma non avevano mai fatto breccia. Non fu infatti un trionfo della razionalità, come molti hanno pensato, ma solo quello di un’altra irrazionalità. A fin di bene, naturalmente. A conferma del fatto che non possiamo parlare al cervello, se prima non siamo riusciti a parlare al cuore: una lezione da tenere presente sempre. Ma soprattutto adesso, con il Covid-19, perché dal livello della copertura vaccinale dipenderà se usciremo dalla pandemia, oppure no.

È il 2018, e dopo vent’anni di propaganda contro i vaccini, accusati di provocare l’autismo, la copertura vaccinale in Italia scende sotto l’80%. Molto al di sotto del livello raccomandato, che è il 95%. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci ammonisce solennemente, ma la ministra della Salute Beatrice Lorenzin non riesce a trovare un consenso politico per una legge più restrittiva sull’obbligo vaccinale. La politica e i media stanno cedendo alla retorica della “libertà di scelta”, piccole celebrità attaccano i vaccini in diretta TV, e tanti vedono nei genitori no-vax un’avanguardia coraggiosa e illuminata. Beppe Grillo, in piena ascesa politica, è un campione no-vax.
Proprio nel 2018, però, alcuni scienziati e giornalisti scientifici hanno un’idea. Invece di continuare a spiegare perché non c’è alcun legame fra vaccini e autismo, hanno cominciato a parlare di “effetto gregge”, cioè della protezione che una grande copertura vaccinale offre ai soggetti più deboli, ad esempio le persone immunodepresse o quelle che non si possono vaccinare. In particolare, portano l’attenzione dell’opinione pubblica sulle scuole, dove i bambini in chemioterapia possono rischiare la vita per un morbillo trasmesso da compagni non vaccinati. Il più famoso di loro è Roberto Burioni, microbiologo del San Raffaele di Milano, che si guadagnerà per questo anche fama internazionale.
Il furbissimo turnaround italiano
L’argomento cattura rapidamente l’attenzione dell’opinione pubblica, e il sentiment generale cambia. I no-vax perdono la superiorità morale di cui hanno finora goduto, e gli scienziati la riguadagnano. I media si riempiono di storie di bambini ammalati, delle proteste dei loro genitori, delle prese di posizione dei presidi. La gente, insomma, si indigna. E comincia a vedere nel genitore no-vax non più un illuminato che protegge i suoi figli, ma un egoista irresponsabile che mette a rischio la vita dei bambini degli altri, più indifesi. Burioni e altri scienziati, invece, vengono intervistati dai giornali e nei talk show.
Ma la cosa davvero sorprendente è che nessuno parla più di autismo!
Così, il 10 gennaio 2019, Beppe Grillo fa pubblica ammenda firmando addirittura un “Patto per la Scienza” con Burioni. E in marzo, Beatrice Lorenzin riesce a far passare una legge che prevede l’obbligo di vaccinazione per ammettere i bambini a scuola. Da questo momento, la copertura vaccinale comincia finalmente a risalire. Cos’è successo nella mente degli italiani?
È successo che la narrazione sui vaccini è cambiata. La chiave di lettura ce l’offre la psicologia, con il celebre Triangolo Drammatico teorizzato da Stephen Karpman nel 1968. Semplificando al massimo, in una storia di questo tipo ci sono tre ruoli: la vittima, il cattivo e l’eroe.
Da quando il medico inglese Andrew Wakefield aveva suggerito il legame fra vaccino trivalente e autismo, il bambino autistico è stato la vittima, lo scienziato il cattivo, e il genitore no-vax l’eroe. Quando però il ruolo di vittima è passato dal bambino autistico al bambino immunodepresso, anche gli altri due ruoli hanno dovuto cambiare. Così il genitore no-vax da eroe è diventato il cattivo, e lo scienziato da cattivo è diventato l’eroe. Sempre giustizia è stata fatta, ma la stessa intuizione morale, gli stessi sentimenti hanno cambiato oggetto, e la questione è stata vista sotto tutt’altra luce.
Nessun etologo avrebbe potuto immaginare un esperimento così elegante.

L’illusione razionalista
Perché un semplice scambio di ruoli nell’immaginario collettivo è riuscito lì dove anni di prove sperimentali spiegate da medici e scienziati avevano fallito? Perché le persone in realtà giudicano le innovazioni per come le fanno sentire, quindi per le emozioni che suscitano, più che per i loro meriti o demeriti oggettivi.
L’esperienza di decenni ormai di controversie scientifiche grandi e piccole ci insegna infatti che, quando vengono contrapposti a emozioni, narrazioni e valori, fatti e argomenti razionali hanno regolarmente la peggio.
L’insistenza della comunità scientifica biomedica nel contrapporre alle accuse dei no-vax solo prove sperimentali, anche se inoppugnabili, è un classico caso di “illusione razionalista”, per usare la bella espressione coniata dallo psicologo americano Jonathan Haidt. L’idea cioè che per convincere le persone basti metterle di fronte ai fatti, a un ragionamento ben congegnato, ai dati. Come se la vita fosse un congresso scientifico.
Questo vuol dire che fatti e argomenti razionali non servono a nulla? No, vuol dire che vengono presi in considerazione solo dopo che le emozioni ci hanno già fatto prendere una posizione in loro favore. Prima quindi bisogna trovare argomenti e storie che possono conquistare il cuore, e solo dopo ci possiamo preoccupare di come conquistare il cervello. Anche sui vaccini, quando il vento è cambiato si è aperta una finestra di opportunità: la gente ha finalmente cominciato ad ascoltare gli scienziati, e si è lasciata convincere.
Anche i genitori che fanno vaccinare i loro figli, d’altra parte, non lo fanno perché hanno capito a fondo la questione e hanno soppesato razionalmente i pro e i contro, ma perché hanno fede nella scienza, o comunque si limitano a seguire la maggioranza (una distorsione cognitiva che si chiama social proof). Niente di razionale, neanche qui.
L’irrazionalità non è più un’insondabile “scatola nera”
Ok, ma perché è toccato proprio ai vaccini, che sono forse i rimedi più efficaci e più sicuri che la medicina abbia mai inventato? Perché sono stati in grado di suscitare emozioni così negative da indurre milioni di genitori a non proteggere i propri figli da malattie gravissime?
La colpa è di alcune distorsioni cognitive, quegli automatismi della mente di cui siamo del tutto inconsapevoli e che ci spingono a prendere decisioni sbagliate.
Innanzitutto, preferiamo evitare delle perdite piuttosto che acquisire dei vantaggi. Facciamo quindi fatica ad accettare l’idea di dover inoculare un po’ della malattia per proteggere una persona sana – anzi un bambino sano! – dalla malattia stessa. Per questo dei movimenti no-vax sono apparsi più volte, e qualsiasi demagogo ha sempre avuto gioco facile a seminare il panico.
Quando qualcuno suona un allarme sui vaccini, com’è accaduto con Wakefield nel 1998, diverse distorsioni cognitive amplificano la percezione del rischio. Ad attivarle ci pensano la copertura mediatica, che fa richiamare alla mente il pericolo dell’autismo più facilmente di altri, e la natura artificiale anziché naturale dei vaccini.
A rendere plausibile il legame fra autismo e vaccini è la cosiddetta “illusione di causalità”, che ci porta a vedere un rapporto di causa-effetto se un evento (in questo caso l’insorgenza dei sintomi dell’autismo) si presenta poco dopo un altro (una vaccinazione) anche se non esiste. A favorirla è il bisogno di trovare comunque una spiegazione, perché la scienza non conosce ancora le vere cause dell’autismo.
Il fatto che le vittime in questione siano dei bambini attiva inoltre una potentissima intuizione morale, quella che ci spinge a proteggere i piccoli della nostra specie e a ignorare ogni ragionamento razionale che ce ne possa distogliere.
Se poi abbiamo anche solo un dubbio, la nostra scelta di default è di non agire a causa del cosiddetto “bias di omissione”: in situazioni di incertezza è meglio non fare qualcosa che farla. In questo caso, non fare il vaccino.
Una volta che il pregiudizio negativo si è insediato, ecco al lavoro il potentissimo bias di conferma, che è la tendenza a cercare, interpretare e richiamare alla memoria le informazioni in modo tale da confermare o rafforzare quello che già pensiamo. Ma anche l’effetto backfire, che ci porta a rigettare con forza le prove che smentiscono le nostre credenze, e a razionalizzare queste ultime in qualsiasi modo. Magari immaginando complotti planetari tra scienziati, medici, sistemi sanitari e case farmaceutiche.
Interessante, vero? Infatti Daniel Kahneman, uno psicologo israeliano, ci ha vinto un premio Nobel. Nel 2002.