Perché chi inventa non sa comunicare?
Un inventore geniale, un tecnologo raffinatissimo, ma quando parla non si fa capire. Si dilunga in spiegazioni di cui nessuno sente il bisogno. Non ha idea di cosa possa interessare chi lo sta ascoltando. Quello del nerd, non è solo uno stereotipo. Una nuova interpretazione delle basi psicologiche dell’innovazione ci svela infatti che quella di risolvere un problema inventando un congegni nuovo è una scelta relativamente rara, che spesso riflette una mente più a suo agio con le cose che con le persone. L’esatto opposto di quella che serve per mettersi nei panni degli altri e comunicare con efficacia. Qui si nasconde forse il segreto della “illusione razionalista”, l’idea così frequente fra gli innovatori e nelle organizzazioni dominate da persone con una formazione tecnica (ma quasi sempre fallimentare) che per vendere l’innovazione bastino i fatti nudi e crudi.

Quando nacque, nel fatale garage al 2066 di Crist Drive a Los Altos, California, la Apple Computer Company aveva due Steve, non uno solo. Accanto a Steve Jobs c’era Steve Wozniak, il mago dell’elettronica, e il creatore del Macintosh.
“Woz”, figlio di un ingegnere della Lockheed, era il classico nerd. Timido, introverso, impacciato nei rapporti sociali. Quando i suoi amici uscivano con le ragazze e andavano alle feste, lui trovava più rassicurante restare a casa a progettare circuiti. Come ricorda Robert Isaacson nel libro Innovatori, per Woz “era più facile guardare negli occhi un transistor che una ragazza”. Se infatti Woz è stato il genio tecnologico della prima stagione della società, l’aura che ha sempre circondato i prodotti Apple – e i prezzi premium che sono sempre riusciti a spuntare – è tutta opera di Jobs, forse uno dei più geniali comunicatori dell’innovazione che siano mai esistiti.
Ovviamente puoi essere un genio tecnologico e un genio della comunicazione, come Thomas Edison, ma molto spesso queste competenze le troviamo in persone diverse. E capire il perché ci porta nel cuore della mente di chi inventa nuove tecnologie.

Perché gli inventori sono così pochi?
In un libro uscito da poco, The Social Leap, lo psicologo William von Hippel dell’Università del Queensland, in Australia, ha fatto notare un paradosso al quale confesso non avevo mai pensato.
Se il tratto più distintivo della specie umana è l’uso di tecnologie, perché quasi nessuno di noi ne inventa una nuova? Anche semplice?
La sua risposta è che la stragrande maggioranza di noi, di fronte a un problema, preferisce capire come farsi aiutare da altre persone anziché inventare un congegno per risolverlo. Per una vita ci siamo caricati pesanti valige, cercando di farci aiutare da compagni di viaggio o facchini, fino al giorno in cui un ex-pilota ha pensato di metterci sotto due rotelle e ha inventato il trolley. Semplicissimo, ma non ci aveva pensato nessuno.
Come spiega von Hippel, preferiamo concentrare le nostre capacità innovative sull’innovazione sociale, anziché su quella tecnologica.
Siamo una specie dalla socialità fortissima, ci piace avere a che fare con gli altri e scambiare favori con gli altri. Sembra anche che l’attivazione dei meccanismi neurali connessi con la socialità inibisca in qualche misura quelli connessi con la soluzione dei problemi per altre strade. Perché allora alcune persone, di fronte a un problema, preferiscono inventare nuovi congegni?
La strana razza degli inventori
L’ipotesi di von Hippel è che le persone che hanno più difficoltà nelle relazioni sociali siano quelle che più facilmente cercano soluzioni tecniche, piuttosto che sociali, diventando magari inventori.
La sua ipotesi si basa sulle osservazioni del maggiore studioso mondiali di disturbi dello spettro autistico, Simon Baron-Cohen dell’Università di Cambridge (cugino di Sacha, l’attore interprete di Borat). Le persone con questo tipo di disturbi, spesso anche molto intelligenti, si trovano più in difficoltà nelle relazioni sociali perché la loro mente non riesce a riconoscere facilmente i sentimenti e le intenzioni degli altri. Non riescono a mettersi nei loro panni. Questo fa sì che in genere si orientino più verso gli oggetti che verso le persone. Non a caso sono rare nella vendita, nelle scienze umane, nelle scienze sociali, e sono invece sovra-rappresentate fra matematici e fisici, e in misura leggermente inferiore fra gli ingegneri.
La condizione ha una forte componente genetica e c’è ad esempio una frequenza molto alta di figli autistici nelle famiglie della Silicon Valley come della zona di Eindhoven, dove si concentra l’innovazione elettronica olandese.
Ovviamente, Von Hippel non vuole dire che tutti gli inventori siano dei disadattati, tantomeno che siano un po’ autistici. Solo che molte persone con talenti sia nelle relazioni sociali sia nel maneggiare oggetti e numeri preferiscono magari studiare economia anziché ingegneria. E che molte persone che non sempre si trovano a loro agio con gli altri possono essere spinte a fare la scelta opposta.
Ma che c’entra tutto questo con la comunicazione dell’innovazione?
Inventori contro comunicatori
Uno dei conflitti più frequenti che ho trovato nei miei corsi sulla comunicazione della scienza e dell’innovazione è quello fra chi sviluppa l’innovazione e chi la deve comunicare: due mondi che nelle aziende o in altre organizzazioni spesso non si capiscono e quindi non riescono a collaborare. La situazione tipica è la società tecnologica, dominata da ingegneri anche nel management.
In genere chi inventa è un esperto del settore, e trova difficile mettersi nei panni di chi ne sa poco. È convinto che una spiegazione accurata e un’argomentazione razionale bastino per risolvere ogni problema, come se quello là fuori fosse un mondo di oggettività e razionalità che segue regole precise e prevedibili. È anche una persona molto intelligente, e cade facilmente nella “trappola dell’intelligenza”, quella che gli fa credere di essere altrettanto bravo anche in un campo che non è il suo. Quindi tende a imporre la sua idea di comunicazione. Non si fida dei colleghi della comunicazione, e spesso impone una strada sbagliata alla comunicazione dell’azienda.
Il segreto del bravo press officer
Dall’altra parte, chi lavora nell’ufficio stampa o relazioni esterne si rende conto che le persone pensano e valutano con tutt’altri metri: oltre agli aspetti tecnici prendono in considerazione dimensioni economiche, sociali, culturali ed etiche, e sono vittime di bias di ogni tipo.
Il problema è che molti comunicatori pensano che la loro migliore sensibilità nei confronti dei pubblici esterni possa bastare, e non fanno lo sforzo di conoscere a fondo l’innovazione che devono raccontare, e il settore in cui operano, impadronendosi di almeno alcune delle conoscenze tecniche in gioco. Invece è un investimento che devono fare. In trent’anni di esperienza di giornalismo, questa è spesso la differenza fra press officer bravi e press officer mediocri: quelli bravi sanno spiegare bene e sanno rispondere alle tue domande, perché hanno già guardato la materia tecnica dal punto di vista di un comunicatore, quelli mediocri no.
Per comunicare l’innovazione, bisogna averla capita bene. È infatti spesso solo nelle pieghe di quel sapere che si possono trovare l’argomento e le leve giuste. Il talento del comunicatore consiste nell’identificarle. Chi dimostra di padroneggiare quello che serve della materia tecnica sarà anche molto più bravo a conquistare la fiducia degli inventori, o del management di formazione tecnica, e riuscirà quindi a collaborare con loro molto meglio, conquistando l’autonomia di cui ha bisogno per lavorare bene.
Steve Wozniak lasciò la comunicazione a Steve Jobs, ma Jobs sapeva sempre molto bene di cosa stava parlando.