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La transizione ecologica è già cominciata

Caro Mario, come Presidente del Consiglio, la tua decisione più importante sarà come spendere i soldi del Recovery Fund. Lo sai che non puoi sbagliare. Per l’Italia, è l’occasione che viene una volta sola nella vita. Ma come ti sarai già accorto, cercheranno di tirarti per la giacca blu da tutte le parti. Finanzia questo progetto, mi raccomando non finanziare quello. Il tuo compito però è tornare a far crescere l’economia italiana, ma approfittandone per dare una mano a salvare il pianeta. Vedo già che cercano di rifilarti (di rifilarci) anche un sacco di vecchie soluzioni, basate su idee vecchie. Prima di riscrivere il Piano, leggi per favore un libro. Anzi, leggetelo tutti. Perché spiega che non abbiamo bisogno di un “nuovo modello di sviluppo”, né di veti su questa o quella tecnologia. Tantomeno di salti all’indietro. Anzi, forse la ricetta l’abbiamo già trovata.

Il libro che ti consiglio di leggere si intitola More from Less, cioè “di più con meno”. Lo ha scritto nel 2018 Andrew McAfee, economista al Massachusetts Institute of Technology. Probabilmente lo conosci già perché è uno dei maggiori studiosi dell’economia digitale. Questa volta però non si è occupato di bit ma di atomi, con uno studio apparentemente noiosissimo. Roba da contabili, più che da economisti. Infatti è un esame della contabilità dell’uso di ogni tipo di risorse nelle economie più avanzate – Stati Uniti e Europa occidentale – nel corso degli ultimi decenni. Quanto ferro esattamente abbiamo consumato, quanto rame, carta, fertilizzanti, cemento, acqua, nickel, terra, legname, acciaio, alluminio, e così via. E naturalmente, quanta energia. Un oceano di dati: estrazione, produzione, esportazioni, importazioni, consumi.

McAfee non ha inventato nuove teorie, non ha costruito modelli, non ha fatto previsioni. Ha solo verificato quanto effettivamente abbiamo consumato e lo ha confrontato con l’andamento dell’economia negli stessi anni. E che cosa ha scoperto? Che la nostra “transizione ecologica” è già iniziata. Senza che ce ne accorgessimo.

Dati alla mano, McAfee ha visto che fino al 1970 circa ogni aumento della ricchezza prodotta dall’economia è accompagnato da un aumento altrettanto rapido del consumo di ogni tipo di risorsa. Disegnate su un grafico, tutte le curve di crescita sono sostanzialmente identiche. In quegli anni infatti l’ecologo Paul Ehrlich e il fisico John Holdren propongono una semplice equazione: I = P x F: l’impatto negativo sull’ambiente (I) è uguale al numero di abitanti sulla Terra (P) moltiplicato per un fattore (F) che è a sua volta il prodotto della ricchezza per il grado di sviluppo tecnologico. Vuol dire che ogni passo avanti della tecnologia e del nostro benessere è accompagnato da un passo indietro della natura. La regola è “more from more”, cioè più sviluppo, più risorse consumate.

In effetti, dopo decenni di crescita economica tumultuosa, proprio allora scopriamo che il pianeta sta pagando un prezzo pesantissimo. Il 22 aprile 1970 si festeggia la prima Giornata della Terra.

L’ambientalismo nasce in questo clima culturale, e come gli anatroccoli di Konrad Lorenz ne rimane “imprintato”. Da allora infatti guardiamo alle cose nuove perlomeno con ambivalenza, se non con sospetto. Soprattutto se sono tecnologicamente sofisticate e basate su una scienza difficile da capire: chimica, nucleare, o genetica. Ci facciamo delle domande anche sulla crescita economica: come potrà continuare a crescere all’infinito, se il pianeta è finito?

D’altra parte, eravamo appena stati sulla Luna, dopo cento anni di innovazioni straordinarie che avevano ridisegnato il mondo: comprensibile che volessimo prenderci una pausa. Non potremmo tornare indietro? Non sarà meglio la decrescita? Almeno un po’, per favore?

Come cambia il mondo!

Proprio intorno al 1970 – sempre (e solo) nelle economie più avanzate – comincia però a succedere qualcosa che nessuno aveva immaginato. I dati di McAfee mostrano che la ricchezza prodotta continua a crescere come prima, e così la produzione industriale, il numero di prodotti venduti, i viaggi in automobile, i consumi di cibo. Ma la crescita del consumo di energia e materie prime rallenta. Le curve sul grafico si separano: quella dell’economia continua a crescere ripida, quelle delle risorse cominciano ad appiattirsi. Finché, a partire dagli anni intorno al 2000, mentre l’economia continua a crescere, il consumo di risorse naturali e di energia comincia a diminuire. E non di poco!

Vediamo ad esempio quello che è avvenuto negli Stati Uniti, che hanno i dati più completi.

Carta e legname passano il picco del massimo consumo già intorno al 1990. Alluminio, nickel, rame e acciaio cominciano a diminuire nei primi anni 2000. Entro il 2010 cominciano a diminuire anche i consumi dei materiali da costruzione come il cemento o la sabbia. Ma il risultato forse più clamoroso è in agricoltura. Dal 1982 a oggi la produzione agricola americana è aumentata del 35%, ma l’uso dei fertilizzanti è diminuito del 25% rispetto al picco del 1999, e quello di acqua per l’irrigazione del 22% dopo il picco del 1984. Anche l’uso della terra è clamorosamente diminuito, consentendo di restituire alla natura una superficie pari a quella dello stato di Washington. E tutto questo con 126 milioni di americani in più rispetto al 1970!

Più indietro è rimasta invece l’energia, i cui consumi hanno continuato a salire fino al 2008, per poi diminuire solo leggermente, anche se le emissioni di gas serra per la produzione di elettricità sono diminuite di oltre un quarto.

Solo il consumo di plastica sta ancora crescendo.

Il “sistema” non è poi così male

Senza che ce ne accorgessimo, insomma, le economie più avanzate si stanno “dematerializzando”, e inquinano sempre meno. Molti l’avevano già sospettato, ma McAfee l’ha dimostrato.

In Italia il picco dei consumi di energia c’è stato nel 2005, e da allora diminuiscono dell’1,5% circa l’anno. Anche le nostre emissioni di gas serra sono da allora diminuite del 27%, in abbondante anticipo rispetto agli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Scorrendo i dati di ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, scopriamo che sono crollate anche le emissioni industriali e dei trasporti, è diminuita la produzione dei rifiuti, mentre la superficie protetta dai parchi nazionali è aumentata di sette volte dal 1987, e quella delle aree protette marine di quattordici volte.

Insomma, superata una certa soglia di maturità tecnologica, la regola diventa appunto “more from less”: più si diventa ricchi, più leggero diventa l’impatto sull’ambiente.

Tutto questo non vuole assolutamente dire che i nostri problemi ambientali sono ormai risolti. Molto anzi ci resta da fare. Gli oceani, ad esempio, sono ancora un disastro, e sul clima la strada è quasi tutta ancora da fare. Ma almeno stiamo andando nella direzione giusta, e sappiamo anche perché. Già, perché?

McAfee risponde con tre parole: innovazione, mercato, democrazia.

L’innovazione, quando è sufficientemente avanzata, ci dà la possibilità di fare letteralmente “di più con meno”. Rispetto al 1970, un’automobile consuma la metà e inquina un centesimo. Una lattina pesa un quinto ed è fatta per l’80% di alluminio riciclato, risparmiando così il 95% dell’energia. Le telecomunicazioni usano fibra di vetro al posto del rame. Sensori e GPS fanno risparmiare un terzo dei fertilizzanti usati nei campi. Qualche decina di ingombranti apparecchiature sono finite in un piccolo smartphone. Probabilmente avremmo fatto anche di più, se non fosse stato per l’opposizione pregiudiziale nei confronti di alcune tecnologie. 

Nulla di tutto questo però è avvenuto perché un Presidente del Consiglio ha scelto le tecnologie giuste. Ci ha pensato il mercato, spingendo le aziende in concorrenza fra loro a usare sempre meno materie prime e sempre meno energia, per risparmiare sui costi. È stato anzi il mercato a scegliere e finanziare lo sviluppo delle tecnologie giuste.

I governi democratici invece hanno ascoltato le richieste dei cittadini e hanno fatto quello che il mercato non sa fare, cioè imporre alle aziende di vendere prodotti sicuri e fabbricati con processi meno inquinanti, creare delle agenzie pubbliche che su base scientifica stabiliscono delle regole, e poi fare rispettare quelle regole. Anche questo è stato uno stimolo formidabile all’innovazione. E gli ambientalisti, in tutto questo? Il loro merito più grande è stato quello di aver portato i problemi all’attenzione dell’opinione pubblica, di non essersi mai stancati di denunciare l’urgenza di una soluzione, e di aver spronato la politica a fare la sua parte. Tutte cose comunque possibili solo in una democrazia.

L’ecologia è l’economia della natura

Insomma, caro Mario, anche la protezione dell’ambiente vuole crescita, non decrescita. E siccome il pianeta è uno solo, lascia un po’ di Recovery Fund anche per aiutare i paesi più poveri a ottenere prima le tecnologie che gli servono per salvare il pianeta. Anche loro hanno diritto al benessere che abbiamo noi, e a un ambiente più pulito. E poi la Terra è una, quindi siamo tutti sulla stessa barca.

In questi giorni vediamo tanti (persino la Commissione Europea!) chiedere sussidi per l’eolico offshore piuttosto che l’idrogeno “verde” o “blu”, l’agricoltura biologica piuttosto che il chilometro zero. L’elenco è lungo, e tutto sembra essere diventato “verde”. Può darsi che abbiano ragione, ma può anche darsi che abbiano solo un interesse da difendere.

Tu quindi fai l’economista, di mercato e democratico. Non scegliere delle tecnologie perché qualcuno dice che sono “verdi”. Scegli invece degli obiettivi di sostenibilità misurabili – cose tipo efficienza energetica, limiti per le emissioni inquinanti, risparmio di materie prime – e finanzia solo i progetti che possono dimostrare di raggiungerli. Per realizzare prodotti e servizi che siano sicuri. E mi raccomando, controlla bene che siano “verdi” davvero.

Lascia invece che le tecnologie le scelga e le faccia crescere il mercato, perché permettano di raggiungere quegli obiettivi. Lascia innovare senza preclusioni a priori. Vedrai che le soluzioni si trovano.

Anche noi, da parte nostra, ci impegniamo ad aggiornare le nostre vecchie idee su crescita e ambiente, e a non avere più pregiudizi su certe tecnologie. Dopo cinquant’anni, forse è ora.

Ringraziandoti per l’attenzione, ti saluto cordialmente e ti auguro buon lavoro.

Giovanni

PS     Fai con calma, per me puoi restare lì quanto vuoi