Altre storie

Vuoi ricevere le mie storie?

Privacy Policy *

I “nuovi OGM” e il sesso degli angeli

Dopo quasi tre anni di attesa, la Commissione Europea si è finalmente pronunciata. Le nuove biotecnologie premiate con il Nobel giusto sei mesi fa sono indispensabili per la sostenibilità dell’agricoltura. E le piante geneticamente modificate grazie a loro non sono OGM. Tradotto: molto probabilmente quelle tecniche si potranno usare, e noi mangeremo quelle piante. Gli scienziati e le associazioni degli agricoltori hanno applaudito la decisione, mentre ambientalisti e produttori biologici hanno gridato al tradimento (“sempre OGM sono!”). La discussione andrà avanti almeno per un anno, fino a quando l’Europa deciderà le nuove regole. Ma è arrivato il momento di dirci con franchezza che è una discussione sempre più surreale. Perché alla base c’è un enorme equivoco: negli ultimi diecimila anni, non abbiamo mai mangiato nulla che non fosse stato geneticamente modificato da noi. Spesso molto profondamente. E anche prima, mangiavamo quello che era stato geneticamente modificato dalla natura, a caso. È arrivato il momento di dirci che l’opposizione all’uso della genetica in agricoltura è un caso di negazionismo della scienza paragonabile forse solo a quello sui vaccini. Anche se molto più rispettabile.

La sigla OGM la usiamo ormai da quasi quarant’anni. Ma è profondamente mistificatoria. Perché ci induce a pensare che queste piante siano state “geneticamente modificate”, mentre tutte quelle prima di loro non lo siano mai state. Quindi che su di loro deve essere stato fatto qualcosa di speciale e di radicalmente nuovo. Che il loro DNA – quasi “l’anima” che il Buon Dio o chi per lui ha dato loro fin dall’inizio dei tempi – non sia più lo stesso. Ci induce a pensare che creando queste piante abbiamo scalfito l’integrità della Natura, abbiamo oltrepassato un sacro limite, abbiamo “giocato a fare Dio”. Da qui la straordinaria fortuna del termine “Frankenfood”. La sigla OGM riesce insomma a fare leva sul nostro innato Creazionismo, l’idea che le specie viventi non si siano evolute ma siano oggi così com’erano nel momento in cui sono state create. Oltre che far leva sulla nostra naturale e fortissima paura della contaminazione dei cibi.  

La natura è cieca, non saggia

Peccato che non sia mai esistito in natura alcun organismo il cui DNA non venga continuamente modificato. Dalle mutazioni provocate dal sole, dai raggi cosmici e soprattutto dai frequenti errori di replicazione del DNA al momento della divisione cellulare. Dal rimescolamento genetico che avviene quando si formano spermatozoi e ovociti. Dal riassortimento che avviene al momento della fecondazione. E tutti questi cambiamenti genetici non sono guidati da qualche “saggezza della natura”, ma sono del tutto casuali. Questo lo sappiamo da oltre un secolo, ed è su qualsiasi libro di testo di biologia della scuola media. Controllare per credere. 

L’evoluzione stessa non è che la modificazione genetica di ogni specie, generazione dopo generazione, per adattarsi a un ambiente che cambia di continuo. E alla base non c’è un disegno: le modificazioni genetiche avvengono a caso, letteralmente “a cazzo di cane”, come si dice a Roma. Sarà poi la selezione naturale a dover eliminare le prove mal riuscite.

Nulla di diverso accade con il nostro cibo, la selezione delle piante che mangiamo la facciamo noi. Non per adattarle all’ambiente naturale, ma perché ci diano più da mangiare, o al prezzo di una minore fatica. E lo facciamo da quando è stata inventata l’agricoltura. 

Da un centinaio di anni a questa parte abbiamo sviluppato tecniche sempre migliori per aumentare la produzione di variazioni casuali fra le quali scegliere, e chiamiamo tutto questo “miglioramento genetico”. Si stima che almeno metà del cibo che troviamo in tavola ogni giorno – compreso quello “biologico” – lo dobbiamo al lavoro dei genetisti. 

Persino quello che è stato considerato il grande atto “contro natura” degli OGM non è una cosa così strana. Il trasferimento di un gene – un tratto di DNA che esprime un particolare carattere – da una specie a un’altra avviene ogni tanto anche in natura. Peraltro, tutti gli esseri viventi hanno moltissimo DNA in comune, perché l’albero della vita sulla Terra è uno solo. Siamo tutti imparentati. Noi ad esempio abbiamo il 98,8% del DNA in comune con gli scimpanzé, il 50% in comune con le piante, e moltissimi geni in comune persino con i lieviti. 

Scienza on demand

La modificazione genetica delle piante che mangiamo può fare male a noi o all’ambiente?

La short answer, la “risposta corta”, come direbbero gli inglesi, è che se così fosse, ce ne saremmo accorti. Abbiamo ampiamente provato a tavola tutte le tecniche di modificazione genetica, da quelle del Neolitico fino agli OGM. Anzi, fra tutte le tecniche agricole usate dalla notte dei tempi a oggi, il miglioramento genetico è l’unica che non abbia creato particolari effetti indesiderati. Pensateci un attimo: l’irrigazione può provocare la salinizzazione dei suoli, l’aratura erosione e perdita di fertilità, i fertilizzanti artificiali inquinamento delle acque, i pesticidi non ne parliamo. Il miglioramento genetico, invece, non ha mai fatto male a nessuno.

Poi c’è anche una “risposta lunga”, che è quella data dai tantissimi studi degli ultimi decenni, che non hanno mai scoperto un bel nulla. Nonostante qualche voce isolata qua e là (d’altra parte, ci sono anche i medici no-vax) dal punto di vista della scienza il caso è chiuso da tempo: il miglioramento genetico è assolto con formula piena. Con qualsiasi fra le tante tecniche a disposizione sia stato fatto. L’Unione Europea ha di fatto messo al bando gli OGM per motivi politici, e contro il parere scientifico della sua stessa agenzia per la sicurezza alimentare. 

Il che fa sorgere inevitabile una domanda: possiamo ascoltare gli scienziati uno giorno sì e l’altro no? Sì, quando ci assicurano della realtà dei cambiamenti climatici, o dell’efficacia e sicurezza dei vaccini, e no quando ci dicono che possiamo coltivare e mangiare in tutta tranquillità le piante geneticamente modificate (pardon, migliorate)?

Insomma, dopo quasi quarant’anni di discussioni, e trenta di OGM prodotti e mangiati in mezzo mondo senza provocare neppure un mal di pancia, forse è il caso metterci una pietra sopra. Come diciamo a Roma in questi casi, è finita a guera!

Le nuove biotecnologie e il sesso degli angeli

E invece a guera non è finita. 

La discussione appena ricominciata riguarda una tecnica nuova, sviluppata da Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna, le due scienziate che hanno avuto il premio Nobel. Il genome editing permette di editare il DNA di qualsiasi organismo, cioè di aggiungere, togliere o sostituire singole basi o intere sequenze di DNA, come si fa con lettere e parole in un programma di scrittura per computer. 

La prima grande novità è che non dobbiamo più fare affidamento sul caso: possiamo creare direttamente noi i pezzi di DNA che servono alla pianta per produrre di più, resistere ai parassiti, o avere un gusto migliore. Come se ci potessimo stampare da soli il biglietto vincente della lotteria.

La seconda grande novità è che possiamo farlo usando gli stessi meccanismi di adattamento naturali alla base dell’evoluzione biologica: mutazioni e scambi di geni fra varietà della stessa specie. Senza ricorrere alle tecniche di mutagenesi chimica o con radiazioni ionizzanti, o agli incroci “spinti” utilizzati fino a oggi. Per questo ho suggerito alla Società Italiana di Genetica Agraria, che raccoglie i ricercatori delle nostre università e dei nostri centri di ricerca, di chiamare il genome editing “Tecniche per l’Evoluzione Assistita”, o TEA. Un nome che sta già prendendo piede. 

A volte per ottenere l’effetto desiderato basta anche una sola mutazione, la sostituzione di una sola “lettera” del DNA su svariati miliardi. Un intervento più leggero di quello della natura stessa. Basti considerare che normalmente una pianta di pomodoro accumula in media nella sua vita 13 mutazioni spontanee, una pianta di soia 16, una di mais 32, e una di grano tenero (quello con cui si fa il pane) addirittura 238. Solo che non sono quasi mai quelle che ci servono. 

Non solo: una pianta migliorata con questa tecnica non è in alcun modo distinguibile da una con le stesse mutazioni, ma prodotte spontaneamente. Qualcuno vuole forse sostenere che se una mutazione la produciamo noi non va bene, ma se la stessa cosa avviene del tutto casualmente in natura sì? O a questo punto stiamo ormai parlando solo del sesso degli angeli?

PS

Le Tecniche per l’Evoluzione Assistita sono giovani, ma sono già state studiate in lungo e in largo. E alla fine dell’anno scorso sono stato l’oggetto di un rapporto di ALLEA, l’associazione che riunisce tutte le accademie e società scientifiche d’Europa. Il consenso scientifico è chiarissimo: le TEA sono sicure, e indispensabili per migliorare la sostenibilità dell’agricoltura. Come riconosce oggi la Commissione Europea, e come ha riconosciuto in Italia anche Coldiretti. Proprio Coldiretti, la grande nemica degli OGM, che questa volta ha avuto la saggezza e il coraggio di vedere la realtà, cambiare, e andare avanti.